Suite
Cipriate sete che avvolgono morbidi corpi femminili e fili di perle che illuminano candidi décolleté, labbra velate di rossetti corposi e ciglia scolpite con mascara, boccoli raccolti ed impreziositi con raffinati copricapi: una suite di eleganza, grazia e fascino.
Uno spazio raccolto con qualche specchio d’argento ed un sofà purpureo su uno sfondo di affreschi floreali: confortevole ed essenziale come una suite d’albergo, delicato ed esclusivo come l’intimità umana.
La determinazione di singole figure umane che autonomamente riempono tanto il campo di un obiettivo quanto il percorso di una vita, complete e compiute come il ciclo dei movimenti di una suite strumentale.
La mostra Suite della giovane artista Diana Palù è tutto questo: un ensemble di dieci ritratti nei quali emergono tanto l’avvenenza e la perfetta estetica che le donne ricercano e che l’arte imprime nel tempo per il medesimo intento di bellezza formale, quanto la poetica dei sentimenti che vivono, combattono e si accasciano nella dimensione privata dell’anima. Una battaglia che si consuma astrattamente, ma che proprio per questo motivo rappresenta una storia da narrare attraverso immagini.
Fu l’allora neo direttore della sezione Fotografia del MOMA di New York, John Szarkozsky, a sostenere e definire per la prima volta nel 1962 l’idea della presenza narrativa all’interno di tale disciplina. Nell'ambito di una pratica artistica che sembra apparentemente fissare l’effigie della realtà così come essa si presenta, nella quale quindi il fotografo pare impossibilitato a lasciare un’impronta personale nell’atto che svolge, invero egli ha la potenzialità di muoversi su molteplici livelli affinché il suo gesto non rimanga pura e sterile documentazione, ma assurga a metafora visuale di un profondo senso poetico.
In una siffatta interpretazione dell’arte della fotografia, la tipologia del ritratto favorisce il germogliare di un rapporto stringente e personale tra l’artista ed il soggetto immortalato, e la conseguente possibilità di esternare tale complicità simpatetica in un racconto per dagherrotipi. La ritrattistica dunque, pur mediante un processo di sintetizzazione della realtà, consente al fotografo di traslare in immagini l’intima percezione emotiva della persona che ha di fronte e della storia che sta respirando.
Attraverso Suite Palù sceglie così di narrare la sua visione di quell’ideale di donna che, con una rinnovata interpretazione della dimensione della femminilità, calcò il palcoscenico degli anni Venti del Novecento: un inedito modo di sentirsi, espresso mediante scelte e trasformazioni non convenzionali. In un’epoca in bilico tra proibizionismo ed emancipazione, le Veneri moderne accorciarono al contempo i capelli e l’orlo della gonna, assumendo cioè dei canoni estetici più liberi come riflesso di una maggiore autonomia nell’agire.
"In fotografia doveva parere completamente classica, quasi fredda… ma il colore dei capelli e delle guance, insieme colorite e fragili, la rendeva la persona più viva che si potesse scoprire".
Lanciando sul tavolo da gioco i concetti di classicità e vivacità, con queste parole pronunciate dal protagonista di Belli e dannati (1922) F. Scott Fitzgerald descrive Gloria Gilbert. Un binomio calzante anche per delineare in un più ampio respiro il tono complessivo di quei ruggenti anni Venti, che consegnarono alla storia l’evoluzione della donna da figura accomodante a personalità propositiva e padrona di se stessa. In tale slancio energico e dinamico che ancora oggi echeggia nei nomi di Coco Chanel, Peggy Guggenheim e Sylvia Beach, la donna non perse la sua femminilità ed anzi la rincarò con sensualità e charme. Non più imbrigliato in quella gestualità manierata del secolo precedente, il gentil sesso svelò la propria grazia ed eleganza che, in linea con il pensiero sartriano, non sono soltanto apparenza, ma trasformazioni esteriori di qualità caratteriali ed attitudinali, di una grandezza dell’anima che plasma la cifra della bellezza.
TANIA MIO BERTOLO
Cipriate sete che avvolgono morbidi corpi femminili e fili di perle che illuminano candidi décolleté, labbra velate di rossetti corposi e ciglia scolpite con mascara, boccoli raccolti ed impreziositi con raffinati copricapi: una suite di eleganza, grazia e fascino.
Uno spazio raccolto con qualche specchio d’argento ed un sofà purpureo su uno sfondo di affreschi floreali: confortevole ed essenziale come una suite d’albergo, delicato ed esclusivo come l’intimità umana.
La determinazione di singole figure umane che autonomamente riempono tanto il campo di un obiettivo quanto il percorso di una vita, complete e compiute come il ciclo dei movimenti di una suite strumentale.
La mostra Suite della giovane artista Diana Palù è tutto questo: un ensemble di dieci ritratti nei quali emergono tanto l’avvenenza e la perfetta estetica che le donne ricercano e che l’arte imprime nel tempo per il medesimo intento di bellezza formale, quanto la poetica dei sentimenti che vivono, combattono e si accasciano nella dimensione privata dell’anima. Una battaglia che si consuma astrattamente, ma che proprio per questo motivo rappresenta una storia da narrare attraverso immagini.
Fu l’allora neo direttore della sezione Fotografia del MOMA di New York, John Szarkozsky, a sostenere e definire per la prima volta nel 1962 l’idea della presenza narrativa all’interno di tale disciplina. Nell'ambito di una pratica artistica che sembra apparentemente fissare l’effigie della realtà così come essa si presenta, nella quale quindi il fotografo pare impossibilitato a lasciare un’impronta personale nell’atto che svolge, invero egli ha la potenzialità di muoversi su molteplici livelli affinché il suo gesto non rimanga pura e sterile documentazione, ma assurga a metafora visuale di un profondo senso poetico.
In una siffatta interpretazione dell’arte della fotografia, la tipologia del ritratto favorisce il germogliare di un rapporto stringente e personale tra l’artista ed il soggetto immortalato, e la conseguente possibilità di esternare tale complicità simpatetica in un racconto per dagherrotipi. La ritrattistica dunque, pur mediante un processo di sintetizzazione della realtà, consente al fotografo di traslare in immagini l’intima percezione emotiva della persona che ha di fronte e della storia che sta respirando.
Attraverso Suite Palù sceglie così di narrare la sua visione di quell’ideale di donna che, con una rinnovata interpretazione della dimensione della femminilità, calcò il palcoscenico degli anni Venti del Novecento: un inedito modo di sentirsi, espresso mediante scelte e trasformazioni non convenzionali. In un’epoca in bilico tra proibizionismo ed emancipazione, le Veneri moderne accorciarono al contempo i capelli e l’orlo della gonna, assumendo cioè dei canoni estetici più liberi come riflesso di una maggiore autonomia nell’agire.
"In fotografia doveva parere completamente classica, quasi fredda… ma il colore dei capelli e delle guance, insieme colorite e fragili, la rendeva la persona più viva che si potesse scoprire".
Lanciando sul tavolo da gioco i concetti di classicità e vivacità, con queste parole pronunciate dal protagonista di Belli e dannati (1922) F. Scott Fitzgerald descrive Gloria Gilbert. Un binomio calzante anche per delineare in un più ampio respiro il tono complessivo di quei ruggenti anni Venti, che consegnarono alla storia l’evoluzione della donna da figura accomodante a personalità propositiva e padrona di se stessa. In tale slancio energico e dinamico che ancora oggi echeggia nei nomi di Coco Chanel, Peggy Guggenheim e Sylvia Beach, la donna non perse la sua femminilità ed anzi la rincarò con sensualità e charme. Non più imbrigliato in quella gestualità manierata del secolo precedente, il gentil sesso svelò la propria grazia ed eleganza che, in linea con il pensiero sartriano, non sono soltanto apparenza, ma trasformazioni esteriori di qualità caratteriali ed attitudinali, di una grandezza dell’anima che plasma la cifra della bellezza.
TANIA MIO BERTOLO