Legami
Una fotografia artistica dipende, secondo Feininger, dalla bravura di selezione del fotografo, dalla sua capacità di vedere e di escludere, di cambiare punto di vista, giudizio dal canto suo ravvalorato da Steinert che insiste sulla qualità autonoma della ripresa, al di là del contenuto non necessariamente veristico, messo peraltro in crisi storicamente dai celebri “vortogrammi” del primo novecento di declinazione astrattiva, dai fotogrammi, affini ai“collage” neocubistici, di Schad, dalle innovazioni surreal-dadaistiche di Man Ray.
Le creazioni di Palù, attesi gli studi e la lunga esperienza della camera oscura, s’intonano alla lezione dei grandi maestri in un racconto assai dispiegato e netto sull’eterno femminino, che solo la sensibilità di una donna può riuscire a tradurre e parafrasare compiutamente nella trama evolutiva della sua basilarità.
Suggestivo il tema della mostra: “Legami”, ossia la catena che sostiene l’amore, la consanguineità, l’amicizia, elementi che sostanziano l’essere donna dal ventre materno in poi, inseguendo le tappe della fanciullezza, dell’adolescenza, della giovinezza, della maturità. Un racconto, se si vuole, dimidiato nella sua stagionalità che potrebbe sottendere un capitolo avvenire. Diana è ancora assai giovane e ha tutto il tempo per approfondire la sua narrazione. Alla ribalta figure vissute che possiamo incrociare nell’anonimato o anagraficamente, all’angolo delle strade cittadine, non pretestuose ed effimere, ma convocate simbolicamente a far parte dell’immaginario collettivo, a fomentare la riflessione su una delle relazioni subliminali più arcaiche e contemporanee. Ogni immagine vive un suo racconto, carico del vedere e sentire, proprio dell’artista. Due qualità che in sala posa inseguono una puntuale metodica. Pur a fronte di un disegno prestabilito Palù va alla ricerca di un’atmosfera rilassante che segni il massimo della spontaneità. Mettendo i protagonisti a proprio agio, fomentando la chiacchiera, l’ascolto musicale, il racconto di una favola per i più piccoli, si resta in attesa di un’espressione caratteristica, di un atteggiamento rappresentativo della personalità. Il gesto significativo diviene demiurgicamente vincente sullo spazio, le figure si stagliano su spazi uniformi, bianchi, grigi, neri, atti ad esaltare la morbidezza delle linee o le simmetrie tra i volti.
Spesso il fondale è quasi o del tutto impercettibile nelle inquadrature ravvicinate. La luce radente è finalizzata all’enfatizzazione delle sagome e dei lineamenti dei soggetti ritratti. La luce piena, in alcuni scatti, mimetizza quella solare di fine estate. Tre i colori dominanti: quello del fondale, dell’incarnato e dei capelli. La tenuità dei toni cromatici esalta le linee, le sagome, i tratti somatici, l’espressività e i gesti dei soggetti. Suggestivo l’uso dei tagli netti e ravvicinati.
La riproduzione delle immagini a colori o in bianco nero in mostra non è a caso. Utilizzando la fotografia a colori l’artista ha voluto consegnare al fruitore quasi una copia tattile del reale, maggiormente informativa che non sia l’immagine in bianco e nero. La quale è assunta invece per consolidare la comunicabilità dell’immagine, per evocare, rendere il volume più puro, per far emergere la forma nella nodale interezza, ma anche per fugare ogni priorità tra ombra e oggetto, per contrastare la luce invasiva, a favore di quella strisciante e carezzevole.
Parlare, come si sarebbe tentati a prima vista, di sensualità nei molteplici click dell’artista sarebbe come porsi al di là del riquadro e del soggetto. La singola ripresa sottende un’innocenza profonda, vissuta che è biologica ad un tempo e mentale, non esperibile in profondità, se non nell'ambito del proprio sesso.
UGO PERNIOLA
Una fotografia artistica dipende, secondo Feininger, dalla bravura di selezione del fotografo, dalla sua capacità di vedere e di escludere, di cambiare punto di vista, giudizio dal canto suo ravvalorato da Steinert che insiste sulla qualità autonoma della ripresa, al di là del contenuto non necessariamente veristico, messo peraltro in crisi storicamente dai celebri “vortogrammi” del primo novecento di declinazione astrattiva, dai fotogrammi, affini ai“collage” neocubistici, di Schad, dalle innovazioni surreal-dadaistiche di Man Ray.
Le creazioni di Palù, attesi gli studi e la lunga esperienza della camera oscura, s’intonano alla lezione dei grandi maestri in un racconto assai dispiegato e netto sull’eterno femminino, che solo la sensibilità di una donna può riuscire a tradurre e parafrasare compiutamente nella trama evolutiva della sua basilarità.
Suggestivo il tema della mostra: “Legami”, ossia la catena che sostiene l’amore, la consanguineità, l’amicizia, elementi che sostanziano l’essere donna dal ventre materno in poi, inseguendo le tappe della fanciullezza, dell’adolescenza, della giovinezza, della maturità. Un racconto, se si vuole, dimidiato nella sua stagionalità che potrebbe sottendere un capitolo avvenire. Diana è ancora assai giovane e ha tutto il tempo per approfondire la sua narrazione. Alla ribalta figure vissute che possiamo incrociare nell’anonimato o anagraficamente, all’angolo delle strade cittadine, non pretestuose ed effimere, ma convocate simbolicamente a far parte dell’immaginario collettivo, a fomentare la riflessione su una delle relazioni subliminali più arcaiche e contemporanee. Ogni immagine vive un suo racconto, carico del vedere e sentire, proprio dell’artista. Due qualità che in sala posa inseguono una puntuale metodica. Pur a fronte di un disegno prestabilito Palù va alla ricerca di un’atmosfera rilassante che segni il massimo della spontaneità. Mettendo i protagonisti a proprio agio, fomentando la chiacchiera, l’ascolto musicale, il racconto di una favola per i più piccoli, si resta in attesa di un’espressione caratteristica, di un atteggiamento rappresentativo della personalità. Il gesto significativo diviene demiurgicamente vincente sullo spazio, le figure si stagliano su spazi uniformi, bianchi, grigi, neri, atti ad esaltare la morbidezza delle linee o le simmetrie tra i volti.
Spesso il fondale è quasi o del tutto impercettibile nelle inquadrature ravvicinate. La luce radente è finalizzata all’enfatizzazione delle sagome e dei lineamenti dei soggetti ritratti. La luce piena, in alcuni scatti, mimetizza quella solare di fine estate. Tre i colori dominanti: quello del fondale, dell’incarnato e dei capelli. La tenuità dei toni cromatici esalta le linee, le sagome, i tratti somatici, l’espressività e i gesti dei soggetti. Suggestivo l’uso dei tagli netti e ravvicinati.
La riproduzione delle immagini a colori o in bianco nero in mostra non è a caso. Utilizzando la fotografia a colori l’artista ha voluto consegnare al fruitore quasi una copia tattile del reale, maggiormente informativa che non sia l’immagine in bianco e nero. La quale è assunta invece per consolidare la comunicabilità dell’immagine, per evocare, rendere il volume più puro, per far emergere la forma nella nodale interezza, ma anche per fugare ogni priorità tra ombra e oggetto, per contrastare la luce invasiva, a favore di quella strisciante e carezzevole.
Parlare, come si sarebbe tentati a prima vista, di sensualità nei molteplici click dell’artista sarebbe come porsi al di là del riquadro e del soggetto. La singola ripresa sottende un’innocenza profonda, vissuta che è biologica ad un tempo e mentale, non esperibile in profondità, se non nell'ambito del proprio sesso.
UGO PERNIOLA